Via Saffi, 49 01100 VITERBO     |     provinciavt@legalmail.it     |     0761 3131

Indici della Rassegna

Titolo
POTERE DEL GIUDICE DI ACCERTARE L’ILLEGITTIMITÀ DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO SE SUSSISTE UN INTERESSE DELLA PARTE A FINI RISARCITORI
Argomento
Diritto amministrativo
Testo
Riferimenti Giurisprudenziali:
- Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza 18 maggio 2012 n. 2916.


La disciplina contenuta nell’art. 34, comma 3, codice del processo amministrativo prevede che qualora l’annullamento dell’atto impugnato non risulti più utile al ricorrente il giudice ne dovrà comunque accertare l’illegittimità allorché sussista un interesse, del ricorrente stesso, ad ottenere il risarcimento dei danni.
La ratio della norma in parola è finalizzata sia ad inibire l’annullamento di atti che abbiano ormai esaurito i loro effetti, sia a tutelare, in presenza dei necessari presupposti, l’interesse all’accertamento giudiziale dell’illegittimità dell’atto impugnato, laddove vi sia l’interesse a conseguire il risarcimento del danno discendente dall’atto medesimo.
La detta norma ha natura eminentemente processuale ed è di immediata applicazione, ne deriva che deve essere estesa anche ai procedimenti giudiziali proposti prima della sua entrata in vigore.
Posto ciò, si è affermato che l’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. introduce, in presenza dei presupposti ivi previsti, una conversione dell’azione di annullamento in azione di accertamento, in quanto l’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato è contenuto nel petitum di annullamento come un antecedente necessario: siccome il più contiene il meno, il giudice limita d’ufficio la sua pronuncia ad un contenuto di accertamento dell’illegittimità, in relazione alla pretesa risarcitoria, giacché manca l’interesse all’annullamento ma sussiste l’interesse ai fini risarcitori.
Nel caso di specie la "conversione" dell’azione di annullamento proposta è prodromica al giudizio di danno che anche se non instaurato dinanzi al medesimo giudicante dovrà essere proposto dal soggetto legittimato dinanzi al giudice di primo grado trovando applicazione l’art. 30, comma 5, codice processo amministrativo – secondo il quale è possibile separare la tutela impugnatoria dalla tutela risarcitoria per equivalente attraverso la proposizione di una richiesta di risarcimento "pura" che potrà essere formulata "sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza" di annullamento, naturalmente comprendendosi in tale previsione anche l’ipotesi in cui l’annullamento sia pronunciato in secondo grado e che nel corso del giudizio non sia stata ancora proposta l’azione risarcitoria -.
Sul punto il Collegio ritiene che la formulazione dell’art. 30, comma 5, cod. proc. amm. esclude la praticabilità di letture restrittive del surriportato comma 3 dell’art. 34 dello stesso codice, nel senso che laddove l’ l’interesse ai fini risarcitori ivi contemplato non risulti ancora concretizzato dalla parte ricorrente tramite la presentazione formale di una specifica domanda giudiziale, non competerebbe al giudice investito della domanda di annullamento rilevare "ex officio" l’ipotetica presenza di un interesse la cui azionabilità è ancora nel potere della parte interessata; ovvero non potrebbe sostenersi che il predetto comma 3 va interpretato nel senso che, in seguito ad una semplice segnalazione della parte ricorrente, o addirittura d’ufficio, lo stesso giudice ab origine adito mediante la sola domanda di annullamento non debba verificare la sussistenza di un interesse ai fini risarcitori.
Infatti, questa lettura restrittiva dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. non solo si risolve in un’interpretazione palesemente contra legem avuto riguardo all’anzidetto ma trova il più solido argomento contrario nella stessa "positivizzazione" del principio dell’autonomia dell’azione risarcitoria.
a cura del dott. Roberto Bongarzone

Autore
Data
mercoledì 30 maggio 2012
 
Valuta questa Pagina
stampa